giovedì 14 settembre 2023

Nadia Cavalera

 


Nadia Cavalera (n. 1950)

Premio Speciale “Alla Carriera”

XI edizione del Premio – 2022/2023

 

 

 Biografia dell’autrice:

 

Nadia Cavalera (Galatone, LE, 1950) vive a Modena dal 1988, dopo un periodo lungo dieci anni di residenza a Brindisi. Laureata in Filosofia all’Università di Lecce con una tesi di laurea dal titolo “Democrazia e socialismo nel giovane Marx”, ha insegnato dal 1976 al 1988 materie umanistiche a Brindisi e svolto attività giornalistica in campo culturale e poi all’Istituto d’arte “Venturi” di Modena.

Poeta, giornalista e saggista, scrittora, traduttora, curatrice di antologie, artista visiva e performer. Ha realizzato opere verbo-visive e cataloghi dedicati al Superrealismo, allegorica definizione della sua peculiare speculazione poetica. Nel 1988 a Brindisi ha fondato la rivista «Gheminga» (prima rivista letteraria della città di cui uscirono tre numeri) da cui nel 1990 è nato, con Edoardo Sanguineti, «Bollettario», quadrimestrale di scrittura e critica, pubblicato per venti anni dal 1990 al 2010. Il progetto redazionale sposa e propone il concetto di avanguardia permanente e in continuo progress performativo. Accreditata come una delle massime personalità della letteratura e della sperimentazione letteraria contemporanea, ha conosciuto e collaborato con Edoardo Sanguineti, Adriano Spatola, Giulia Niccolai e numerosi altri eminenti intellettuali e artisti della sperimentazione della seconda metà del Secolo scorso. Unica poeta presente in “Terza Ondata”, ultimo movimento d’avanguardia del Novecento, a cura di Filippo Bettini e Roberto di Marco.

Ha pubblicato vari volumi di poesia sperimentale spesso in connubio con le arti figurative e anche libri di narrativa, oltre alla saggistica i cui contributi pubblicati nel corso degli anni sono confluiti nel volume Corso Canalchiaro 26 (2010). Ha curato e tradotto dal latino Eremita del medico e umanista Antonio De Ferrariis (1444-1517), detto “il Galateo” nel 2020. Ha scritto anche in altre lingue: in latino (Ecce Femina), in inglese (Americanata) e nel suo dialetto galateo (Salentudine).

Ha presieduto, fino al 2018, il Premio “Alessandro Tassoni” (noto concorso letterario per la poesia, narrativa, teatro e saggistica), istituito nel 2005 in collaborazione con il Comune e la Provincia di Modena e organizzato dalla sua Associazione “Le Avanguardie” (da lei diretta dal 1989) intitolato al celebre intellettuale modenese che nacque nel 1565 e morì nel 1635 celebre per il poema eroicomico La secchia rapita (1622), che mira annualmente a individuare nel vasto panorama di poeti e scrittori valide e innovative proposte di ricerca e sperimentazione.

Ha collaborato con numerose testate specialistiche tra le quali «Sallentum», «Il Rosone», «Il Segnale» e «Zeta». Suoi scritti figurano in varie antologie tra cui Primule gialle (La Vallisa, Bari, 1989) a cura di Anna Santoliquido, Le Donne della poesia (Laboratorio delle Arti, Milano, 1991) a cura di Domenico Cara, Terza ondata (Bologna, Synergon, 1993) a cura di Filippo Bettini e Roberto Di Marco, Poeti contro la mafia (La luna, Palermo, 1994) a cura di Filippo Bettini, Poeti contro Berlusconi (Terra del Fuoco, 1995) a cura di Carmine Lubrano, La città rappresentazioni e scritture (Giunti, Firenze, 1995) a cura di Gianni Cascone, Poesie a comizio (Empiria, Roma, 2008) a cura di Francesco Muzzioli e Marcello Carlino, Gli alberi (Ferrari, Paludi, 2008) a cura di Anna Lauria, La poesia di ricerca in Italia (Cirps, Roma, 2001) a cura di Francesco Muzzioli, Via Maestra (Hobos, Brindisi, 2011) a cura di Clara Nubile e Michele Bombacigno, etc.

Hanno scritto di lei Giovanni Amodio, Lino Angiuli, Davide Argnani, Carlo Alberto Augieri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Mariella Bettarini, Luigi Bonaffini, Lia Bronzi, Marcello Carlino, Luigi Carotenuto, Ettore Catalano, Giorgio Celli, Antonino Contiliano, Andrea Cortellessa, Gualtiero De Santi, Carmen De Stasio, Donato Di Stasi, Kristina Donnicola, Vittoriano Esposito, Franco Ferrarotti, Anna Maria Giancarli, Maria Lenti, Eugenio Lucrezi, Mario Lunetta, Loredana Magazzeni, Giuliano Manacorda, Massimiliano Manganelli, Francesco Muzzioli, Raffaele Nigro, Giuseppe Panella, Daniele Maria Pegorari, Cetta Petrollo, Vito Riviello, Paolo Ruffilli, Edoardo Sanguineti, Valeria Serofilli, Mirella Serri, Antonio Spagnuolo, Adriano Spatola, Maria Luisa Spaziani, Marcello Strazzeri, Donato Valli, Ciro Vitiello, Andrea Zanzotto e numerosi altri.

Numerosi i premi vinti: è risultata finalista al Premio L’Aquila – CarispAq nel 2006 con Superrealisticallegoricamente. Con la medesima opera si è aggiudicata nel 2009 il Premio Astrolabio di Pisa.

 

 

 Motivazione del conferimento del Premio:

  

Il geniale poeta visivo e critico Adriano Spatola (1941-1988) per l’impronunciabile Amsirutuf: enimma (1988) di Nadia Cavalera, lavoro con compresenza di brevi versi e tavole grafiche con motivi geometrici, aveva scritto nella sua introduzione: “Sono quattro gli elementi che compongono la struttura delle pagine di N.C.: il segno, il rigo musicale, la scrittura e la scrittura rovesciata […] quest’ultima vuole […] offrire un’immagine alternativa del testo”[1].

Spatola nel suo breve scritto chiamava in causa termini importanti con i quali oggi è possibile avvicinarsi alla produzione della Cavalera – celebre poetessa e performer nata a Galatone (LE) nel 1940 e da molti anni residente a Modena – e tentarne una definizione: mi riferisco a “strumentalismo”, “visualità” e “impianto grafico”. Espressioni che ben rimarcano il concetto di multidisciplinarietà delle arti esperite mediante codici apparentemente distanti, quello grafico-testuale e quello visivo-strutturale. Ben comprendiamo da questi semplici tratti come l’opera della Cavalera nasca, si stagli e si definisca, come profondamente avanguardistica e in continuo fermento creativo-sperimentale.

L’idea che la Nostra ha del concetto di avanguardia ha poco a che vedere con l’utilizzo che di “avanguardia” (nelle forme di “Seconde Avanguardie” o “Nuove Avanguardie” della seconda metà del Secolo scorso) ha campeggiato nelle dissertazioni critiche, ufficiali o meno, accademiche o rionali che sono stato abbondantemente fatte, spesso giungendo a tortuosità di poco convincimento o veri cul-de-sac. Per la Cavalera l’avanguardia è tale “[se] rinunci[a] a ridicole forme elitarie inconcludenti, a qualsiasi forma di divismo e discriminazione, [se] abbandon[a] gli inutili giochi di società di inclusione/esclusione e fa[…] proselitismo. […] [Se] si espand[e] e divent[a] finalmente massa. Per superare le miserie del presente”.

Avvicinandoci a una sua opera di qualche anno fa, Spoesie 2006-2009, in cui nel curioso prefisso “s-” è da intendere, forse, un velame ironico, senz’altro di rivisitazione del termine, semmai una sua parabola di sviluppo, Mirella Serri nella nota introduttiva così scriveva: “militando negli anni universitari contro la corruzione e il malaffare dello scudo crociato, i suoi strumenti di lotta non erano solo i cortei, le occupazioni, gli scioperi e i comizi, ma anche la parola poetica”[2]. Questa citazione ci consente di aggiungere un dato al profilo umano – e poi culturale della Cavalera – che è rappresentato dalla sua anima battagliera che l’ha portata quale attivista coscienziosa a battersi per cause e motivi di ordine socio-civile. In poesia, questo aspetto di antagonismo e denuncia, si può ritrovare tanto nei contenuti profondamente intrisi di temi e ispirazioni civili, ma anche nella forma ribelle – nel senso di non canonica – adoperata. Si parla, pertanto, come già Spatola anticipò, di opere verbo-visive un po’ alla maniera della poesia visiva di Corrado Govoni o quella più nota dei Calligrammi di Apollinaire.

La “provocazione avanguardistica” di Cavalera, come saggiamente la definisce Serri, ha lo scopo di progredire verso un oltre non del tutto identificato e dicibile – come nelle più avvincenti avanguardie del Secolo scorso, si pensi solo allo spagnolo ultraismo – che è raggiunto perché nelle intenzioni “La poesia della Cavalera vuole sondare tutte le possibilità semantico-formali, trovare le corrispondenze, le aporie, imbarcarci su percorsi molto individuali attraverso la provocazione avanguardistica”[3].

Rientra in questo percorso febbrilmente creativo anche la creazione di eteronimi o, per dir meglio, di noms-de-plume a partire dalla statunitense Marie Donna Lancaster che figura quale autrice (è la nostra sotto bonarie mentite spoglie) di Americanata (1992) e l’introvabile (a ragione: non esiste) poetessa latina Annia Aurelia Galeria Lumilla Augusta, proposta quale autrice di Ecce Femina (1994). Tale attitudine mistificatrice volutamente allegorica della Cavalera è senz’altro portata all’estremo nella pubblicazione Liber Ex Libris (2022) dove, ponendosi stavolta nella posizione di curatrice del volume antologico, non è altro che la presentazione di se stessa in ben centotrentatré autrici diverse, con tanto di nome e alcune brevi note biografiche per contestualizzarle. Un’operazione ardimentosa e curiosa in cui, ancora una volta, la poetessa salentina è unica deus ex machina e regista indiscussa della formidabile operazione che ha qualcosa della tecnica del collage ma anche del teatro dell’assurdo.

A spiegare meglio tale operazione sono alcune note critiche presenti nel volume che ci vengono in soccorso e appaiono utilissime per facilitare una pur recondita comprensione al lettore: “Gli autori inventati sono dunque frutto della pluralità dell’io, sono parti di sé, ma sono anche una proiezione in altre vite possibili. La loro entrata in scena comporta pure da un lato qualche riferimento mascherato ad autrici/autori reali, ma il camuffamento prende la mano e parte per la tangente dell’allegra incursione, soprattutto nella nominazione scatenata”[4].

Uno dei concetti imprescindibili per lo studio dell’opera della Nostra risulta essere quello di superrealismo allegorico – da lei stessa forgiato e approfondito per mezzo di una sorta di saggio teorico o manifesto – uscito sulla rivista «Bollettario», una delle sue più felici e fortunate creazioni. Nel volume Superrealisticallegoricamente (2005) lo studioso Donato Di Stasi aveva ben evidenziato alcuni dei caratteri prominenti di questa nuova avanguardia, uno meramente formale: “l’idea di un linguaggio che si deforma nel suo farsi duttile camaleonte”[5] e l’altro contenutistico-sociologico: “il grido di protesta contro le malversazioni della storia”[6].

Francesco Muzzioli, che molto ha scritto sull’opera della Cavalera, ha parlato di “oltranza allitterativa” e di “ripetizione fonica” a contraddistinguere i versi dei suoi scritti, elementi che porterebbero a un accumulo di dato empirico-uditivo che ha espresso nei termini di “ipertrofia della tessitura sonora”. A infatuare tale atteggiamento sono le continue consonanze di termini disposti in forma contigua e l’uso dell’omoteleuto, una figura retorica (frequente causa di errori nell’atto delle copie di testi nell’antichità) che si presenta quando due o più parole contermini hanno una desinenza identica o molto simile. La destrutturazione del linguaggio canonico – che a sua volta è una manipolazione dai toni anche giocosi – ha come risultato l’abbattimento di forme di pausa o di adeguamento dei tempi che la punteggiatura canonica potrebbe fornire. Ciò è teso al recupero e alla resa fedele di quella liquidità inarginabile della lingua e dunque di un verso che, oltre che sciolto e libero, ha esigenza tanto di libertà fisica – di disposizione grafica sulla pagina – quanto cinetica – di reale movimento.

La Cavalera ha giocato (e gioca) non solo con le forme e gli stili ma anche con i codici linguistici. È una realtà oggettiva – lo dimostra la sua bibliografia – che ha gettato lo sguardo anche verso altre lingue che spesso fanno capolino con parole singole o brevi espressioni all’interno del tessuto lirico nella lingua natale. Ci sono poi opere completamente in altre lingue, è il caso di Americanata (1992) in inglese ed Ecce Femina (1994) in latino. Senza disdegnare il suo dialetto oriundo, il galateo, con il quale ha vergato i brevi componimenti in forma limerick di Salentudine (2004), una sorta di Spoon river nostrana tutta leccese.

Cavalera si è esposta con fermezza e convinzione sulla questione femminile ponendosi come (sue stesse parole) una feminista ante litteram e sui generis – accentuando un aspetto non di poco conto che ha a che vedere con il concetto di “umafeminità” (suo neologismo) ampiamente esposto in un saggio del 2014 che compare come contributo introduttivo all’antologia omonima alla quale presero parte voci poetiche di primissimo livello. La Cavalera parla dell’esigenza di abbattere la tendenza ormai diffusa come norma del raddoppio della “emme”, per lei dispregiativo e motivo a sua volta di tanta violenza. Dunque femina e non femmina. Da qui parte la sua filosofia particolarissima che vedrebbe (e auspicherebbe) l’abbattimento generalizzato del termine umanità (a suo dire restrittivo e motivo, a sua volta, di emarginazione) a favore di quello di umafeminità. In questo suo versatile scritto troviamo un esergo infuocato dove la Poetessa annota: “Mi dissocio / […] / Non nel mio nome i morti delle tante guerre volute e gestite dagli uomini / […]/ Mi dissocio dall’UMANITÀ e rilancio la nascita di un nuovo nome / da cui ripartire per la costruzione di un’era nuova / ripartiamo con l’UMAFEMINITÀ”.

Questo esperimento linguistico-contenutistico, che è un potente J’Accuse, ben evidenzia la natura di poetessa civile della Cavalera, con una sua speciale e forte visione critica radicata nella convinzione che la poesia non sia la mera descrizione di una scena edificante quanto azione concreta. Importante è la caratura etico-civile di tanti versi della Cavalera che a volte sconfinano in significati o allusioni che possiamo ben definire politici per la nettezza e la distinzione dei riferimenti o gli indirizzi verso cui muove.

Simile atteggiamento di protesta e denuncia, di un atto ribelle che non si esaurisce con il suo compimento ma che è latore di un’ideologia e di principi da difendere strenuamente, può essere riscontrato (diversa la tematica, medesimo il sentimento solidaristico e civile) nella più recente operazione antologica Chiamata contro le armi 4. Sessanta poet* reclamano la pace (2022) in cui, come comunemente ha più volte fatto, ha rimediato alla differenza sintattica di genere che nel nostro Paese spesso ha visto ostilità quando non il parto di brutture, con l’uso dell’asterisco a fine vocabolo, quale segno agglutinante di esemplari tanto maschili quanto femminili.

L’organizzazione di questo Premio ha inteso premiare con il Premio Speciale “Alla Carriera” la poetessa, scrittrice, performer e saggista (importante è anche la sua raccolta di interventi critici, Corso Canalchiaro 26 pubblicato nel 2010) Nadia Cavalera, fondatrice e direttrice dell’importante rivista «Bollettario» e del pregiato Premio Letterario “Alessandro Tassoni” in Modena, per la sua ampia carriera e la vastità delle sue pubblicazioni, per l’impegno autentico e protervo verso la difesa di battaglie d’ordine civile.

 

(Motivazione critica stilata da LORENZO SPURIO, Presidente del Premio)

 

 

Nota:

I presenti testi corrispondo a quelli pubblicati nell’opera antologica del Premio. E’ vietata la riproduzione in forma integrale e/o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’autore.

 




[1] Adriano Spatola, Introduzione a Nadia Cavalera, Amsirutuf: enimma, tam tam, Sant’Ilario d’Enza, 1988.

[2] Mirella Serri, Introduzione a Nadia Cavalera, Spoesie 2006-2009, Fermenti, Roma, 2010, p. 7.

[3] Ivi, p. 9.

[4] Nadia Cavalera, Da Liber Ex Libris, Milella, Lecce, 2022, p. XIII.

[5] Donato Di Stasi, Introduzione a Nadia Cavalera, Superrealisticallegoricamente, Fermenti, Roma, 2005, p. 6.

[6] Ivi, p. 8.

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