Premio Speciale “Alla Memoria”
XI
edizione del Premio – 2022/2023
Giovanni Giuseppe Battaglia nacque ad Aliminusa (PA) nel 1951. Importante la sua presenza nelle Lettere della sua Regione e non solo. È stato poeta, scrittore e drammaturgo. Il suo carattere tendenzialmente schivo e la sua natura appartata non gli hanno concesso di evidenziarsi in maniera netta nello scenario nazionale nonostante la sua alacre attività letteraria e la nutrita collaborazione con intellettuali di chiara fama che collaborano con lui nelle sue opere, scrissero note critiche, prefazioni e attestazioni di merito sulla sua attività di poeta tra cui quelli di Pier Paolo Pasolini e Giacinto Spagnoletti.
La sua opera poetica, dopo l’esordio con
la poesia dialettale (La terra vascia
del 1969 prefata dal grande bagherese Ignazio Buttitta, quasi una
“consacrazione” ai fasti della poesia popolare e La piccola valle di Alì
del 1972), si snoda in una vasta gamma di pubblicazioni di poesia in lingua
italiana la gran parte delle quali corredate da importanti e luminose attestazione
critiche sul suo operato e genio creativo. Notevole al punto da farne una delle
matrici caratterizzanti della sua produzione è la venatura civile dei
componimenti che non verrà mai completamente meno pur lasciando spazio
all’evocazione dei ricordi e dell’infanzia (I
luoghi degli elementi del 1986, l’indimenticato Inventario degli strumenti
del padre e della madre del 1987), della campagna natia e delle tradizioni
locali e familiari sino a giungere a una poetica levigata ed evocativa frutto
di un lavorìo interiore e di una spiccata propensione all’autoanalisi e
all’introspezione. Sono esempi di questa poetica franta e a volte sincopata,
costruita attorni agli aloni di non detto, opere quali L’ordine di viaggio (la cui prima edizione è del 1982, ripubblicato
nel 1987 con una nota critica di Salvatore Silvano Nigro), considerata, a
ragione, come una delle sue maggiori, Il
libro delle variazioni lente (1991) e Frainteso
a scatto (1994) sino all’ultimo e fatalmente premonitorio Discesa ai morti (1995).
Giorgio Luti lo ha inserito nella sua Storia letteraria d’Italia (1993). Suoi
testi sono stati pubblicati su varie antologie tra cui Cento e passa poeti dialettali (Todariana, Milano, 1973, a cura di
Teodoro Giuttari e Luigi Grande), Oltre
Eboli: la poesia. La condizione poetica tra società e cultura meridionale
(Lacaita, Manduria, 1979, a cura d Antonio Motta), Le parole di legno (Mondadori, Milano, 1984, a cura di Mario Chiesa
e Giovanni Tesio), Letteratura degli anni ottanta (Bastogi, Foggia,
1985, a cura di Mario Lunetta, Francesco Muzzioli e Filippo Bettini), Lingua lippusa. Antologia della poesia
contemporanea in dialetto siciliano (Venilia, Montemerlo, 1992 a cura di
Corrado Di Pietro).
Hanno scritto di lui, tra gli altri,
Ignazio Butttitta, Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Tesio,
Giacinto Spagnoletti, Salvatore Silvano Nigro, Gianmaria Testa, Giorgio Bàrberi
Squarotti, Vincenzo Ognibene, Ferruccio Ulivi, Mariella Bettarini, Ignazio
Delogu.
Dopo un periodo di malattia, il Poeta
morì nella sua Aliminusa nel 1995 a soli quarantaquattro anni.
La sua intera produzione poetica
(eccettuate le due sillogi iniziali in dialetto) è stata pubblicata a cura di
Vincenzo Ognibene – che a lungo ha collaborato con lui e se ne è occupato in
termini editoriali dopo la morte – nel volume di cinquecento pagine Poesie 1979-1994 pubblicato per Lithos
di Roma nel 2015.
Motivazione del
conferimento del Premio:
Apprezzati e letti con particolare
attenzione i contributi critici che Giovanni Ruffino e Vincenzo Ognibene[1]
hanno dedicato alla produzione poetica di Giuseppe Giovanni Battaglia, poeta
nato ad Aliminusa, nella provincia palermitana, nel 1951 e lì deceduto nel
1995, l’organizzazione di questo Premio ha deciso di conferire il Premio
Speciale “Alla memoria” di questa edizione alla sua importate figura
letteraria.
Alcuni anni fa, sulla scia dei parchi
letterari nati e intitolati a eminenti intellettuali del nostro Belpaese (il
“Salvatore Quasimodo” a Modica e il “Giovanni Verga” a Vizzini) venne
intitolato il Parco letterario e zoo contadino di Aliminusa alla figura di
Giuseppe Giovanni Battaglia, meglio noto come “Piddu”, il poeta che denunciò
senza reticenze le negatività del mondo di oggi, evidenziando le differenze da
un’età precedente ritenuta non come “edenica” ma “normale”, mettendo al centro
del suo impegno la difesa del debole e la condanna, con toni anche aspri, dello
sfruttamento selvaggio tanto delle forze umane nelle campagne quanto degli
elementi naturali e ambientali.
La traiettoria poetica di Giuseppe
Giovanni Battaglia è esordita con tre raccolte poetiche in dialetto (La terra vascia del 1969, La piccola valle di Alì del 1972 e Campa padrone che l’erba cresce del
1977)[2],
con importanti attestazioni di accoglimento tra cui quelle di Leonardo Sciascia
e Ignazio Buttitta[3]
in cui “i temi trattati (lavoro, subalternità, sofferenza, ribellione)[4]
stanno tutti dentro l’orizzonte dialettale”[5] ed
è proseguita negli anni con una continua ricerca ontologica, giungendo a una
poesia carica di analogie e metafore, sostenuta da un linguismo raffinato
impegnato in un’affannosa perlustrazione personale del vissuto.
La particolarità della sua opera sta
forse nella grande maturazione formale e contenutistica che nel corso del tempo
ha visto prodursi: dalla cruda indagine sociale che lo portò ad allinearsi alle
lotte contadine in evidente contrasto alla nascente logica latifondista e di
stampo caporalistico con un animo compartecipe e solidale nei confronti dei
deboli e degli oppressi, sino ad arrivare a un dettato lirico più sincopato e
simbolico, dai tratti enigmatici e tendenzialmente chiuso, imperniato sul culto
di alcuni vacaboli-simbolo in una continua ricerca delle origini nell’arsenale
dei ricordi e nelle evidenze concrete che, sottratte allo scorrere del tempo,
gli consentivano di riaffiori e agganci, perlustrazioni e sempre più accorati,
quando non tormentati, pensieri, testimoni di una “esistenza sofferta e
inquieta”[6].
Della sua seconda produzione – quella dei noti Inventari degli oggetti della madre e de padre – è forte la
“tensione verso la ricerca di senso”[7]
sostenuta da una campitura di saggezze e di credenze mai ostentate quali
preziosi “echi interiori della sua erudizione biblica”[8]
che sembrano espandersi ulteriormente dinanzi alla “consapevolezza del mal fisico
che, di lì a pochi anni, [lo] avrebbe condotto alla morte”[9].
Giovanni Ruffino è convinto nel
sostenere che “Giuseppe Battaglia è un poeta tra i più significativi della
Sicilia dal dopoguerra”[10]
descrivendo la sua ideale e più congeniale collocazione nel solco dei maggiori
dialettali di Sicilia, sulle orme di Vanni Antò (1891-1960), Santo Calì
(1918-1972) e Ignazio Buttitta (1899-1997) al quale è stato avvicinato dalla
critica frequentemente e a ragione non solo per l’impiego della sua lingua
madre, in dialetto delle sue terre, ma per aver abbracciato le lotte della
classe proletaria e contadina, contro i soprusi e le forme di violenza imposte
dall’altro. Entrambi scrissero un componimento elegiaco dedicato a Salvatore
Carnevale il sindacalista di Sciara che nel 1955 venne ucciso dalla mafia[11].
Battaglia fu esempio (ed è testimone) di
forte e radicato “legame simbiotico con la terra”[12]
che con la sua canonica “lapidarietà tagliente del lessico anti-padronale”[13]
ci giunge ancora oggi, in un tempo assai mutato da quello che lui impresse
nelle sue liriche, talmente vivido e combattivo, forte di insegnamenti temprati
sulla propria pelle, a loro volta monito ad agire e denunciare. In Battaglia
uomo e poeta rimangono indelebili la devozione alla terra natia, lo sradicamento
e la distanza, lo schifo per l’emarginazione, la ricerca di emancipazione e il
riconoscimento equanime dei diritti, la strenua difesa della condizione umana.
(Motivazione critica
stilata da LORENZO SPURIO, Presidente del Premio)
Nota:
I presenti testi corrispondo a quelli pubblicati nell’opera
antologica del Premio. E’ vietata la riproduzione in forma integrale e/o di
stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’autore.
[1] In particolare: Vincenzo Ognibene, “Lo “scriba ramingo”: il cammino poetico
di Giuseppe Giovanni Battaglia”, in Giuseppe
Giovanni Battaglia, Poesie 1979-1994, Lithos Editrice, Roma,
2015.
[2] Codice linguistico che, nel suo
percorso letterario, poi abbandonò come disse esplicitamente: “Ho smesso di
scrivere in lingua siciliana nel 1978; è stata una bella esperienza”, in Giuseppe Giovanni
Battaglia, Poesie 1979-1994,
op. cit., p. 17.
[3] “Sciascia e Pasolini compresero il
demone tragico di questa poesia in forma di lotta fra dimenticanza-lontananza
dell’autore e accettazione cristiana della persona, della materia, della
Natura, come doni divini”, Giuseppe
Giovanni Battaglia, Poesie 1979-1994, op. cit., p. 59.
[4] Tra gli altri temi Vincenzo Ognibene ha
rilevato “il dramma dell’emigrazione coatta, l’impegno esplicito nella lotta di
classe, nella rabbiosa denuncia dell’analfabetismo colpevole, delle connivenze
mafiose”, in Giuseppe Giovanni Battaglia, Poesie 1979-1994, op. cit., p. 24.
[5] Giovanni
Ruffino, in Prefazione a Giuseppe
Giovanni Battaglia, L’ordine di
viaggio. Poesie 1968-1992, a cura di Vincenzo Ognibene, Arbash Edizioni,
Aliminusa, 2005, p. 13.
[6] Giovanni
Ruffino, in Prefazione a Giuseppe
Giovanni Battaglia, L’ordine di
viaggio. Poesie 1968-1992, op. cit., p. 13.
[7] Giuseppe
Giovanni Battaglia, Poesie 1979-1994, op. cit., p. 38.
[8] Ivi,
p. 49.
[9] Ibidem
[10] Giovanni
Ruffino, in Prefazione a Giuseppe
Giovanni Battaglia, L’ordine di
viaggio. Poesie 1968-1992, op. cit., p. 13.
[11] Su questo rimando a un mio precedente
intervento critico: Lorenzo Spurio,
“La morte di Turiddu Carnevale: le poesie-ricordo (e condanna) di Ignazio
Buttitta e Giuseppe Giovanni Battaglia”, «La
Vallisa», 07/03/2023.
[12] Giuseppe
Giovanni Battaglia, Poesie 1979-1994, op. cit., p. 20.
[13] Ivi,
p. 32.
Nessun commento:
Posta un commento