Nadia Cavalera (n.
1950)
Premio Speciale “Alla Carriera”
XI
edizione del Premio – 2022/2023
Nadia Cavalera (Galatone, LE, 1950) vive
a Modena dal 1988, dopo un periodo lungo dieci anni di residenza a Brindisi.
Laureata in Filosofia all’Università di Lecce con una tesi di laurea dal titolo
“Democrazia e socialismo nel giovane Marx”, ha insegnato dal 1976 al 1988
materie umanistiche a Brindisi e svolto attività giornalistica in campo
culturale e poi all’Istituto d’arte “Venturi” di Modena.
Poeta, giornalista e saggista,
scrittora, traduttora, curatrice di antologie, artista visiva e performer. Ha
realizzato opere verbo-visive e cataloghi dedicati al Superrealismo, allegorica
definizione della sua peculiare speculazione poetica. Nel 1988 a Brindisi ha
fondato la rivista «Gheminga» (prima rivista letteraria della città di cui
uscirono tre numeri) da cui nel 1990 è nato, con Edoardo Sanguineti,
«Bollettario», quadrimestrale di scrittura e critica, pubblicato per venti anni
dal 1990 al 2010. Il progetto redazionale sposa e propone il concetto di
avanguardia permanente e in continuo progress
performativo. Accreditata come una delle massime personalità della letteratura
e della sperimentazione letteraria contemporanea, ha conosciuto e collaborato
con Edoardo Sanguineti, Adriano Spatola, Giulia Niccolai e numerosi altri
eminenti intellettuali e artisti della sperimentazione della seconda metà del
Secolo scorso. Unica poeta presente in “Terza Ondata”, ultimo movimento
d’avanguardia del Novecento, a cura di Filippo Bettini e Roberto di Marco.
Ha pubblicato vari volumi di poesia
sperimentale spesso in connubio con le arti figurative e anche libri di
narrativa, oltre alla saggistica i cui contributi pubblicati nel corso degli
anni sono confluiti nel volume Corso
Canalchiaro 26 (2010). Ha curato e tradotto dal latino Eremita del medico e umanista Antonio De Ferrariis (1444-1517),
detto “il Galateo” nel 2020. Ha scritto anche in altre lingue: in latino (Ecce Femina), in inglese (Americanata) e nel suo dialetto galateo
(Salentudine).
Ha presieduto, fino al 2018, il Premio
“Alessandro Tassoni” (noto concorso letterario per la poesia, narrativa, teatro
e saggistica), istituito nel 2005 in collaborazione con il Comune e la
Provincia di Modena e organizzato dalla sua Associazione “Le Avanguardie” (da
lei diretta dal 1989) intitolato al celebre intellettuale modenese che nacque
nel 1565 e morì nel 1635 celebre per il poema eroicomico La secchia rapita (1622), che mira annualmente a individuare nel
vasto panorama di poeti e scrittori valide e innovative proposte di ricerca e
sperimentazione.
Ha collaborato con numerose testate
specialistiche tra le quali «Sallentum», «Il Rosone», «Il Segnale» e «Zeta».
Suoi scritti figurano in varie antologie tra cui Primule gialle (La Vallisa, Bari, 1989) a cura di Anna
Santoliquido, Le Donne della poesia
(Laboratorio delle Arti, Milano, 1991) a cura di Domenico Cara, Terza ondata (Bologna, Synergon, 1993) a
cura di Filippo Bettini e Roberto Di Marco, Poeti
contro la mafia (La luna, Palermo, 1994) a cura di Filippo Bettini, Poeti contro Berlusconi (Terra del
Fuoco, 1995) a cura di Carmine Lubrano, La
città rappresentazioni e scritture (Giunti, Firenze, 1995) a cura di Gianni
Cascone, Poesie a comizio (Empiria, Roma, 2008) a cura di
Francesco Muzzioli e Marcello Carlino, Gli
alberi (Ferrari, Paludi, 2008) a cura di Anna Lauria, La poesia di ricerca in Italia (Cirps, Roma, 2001) a cura di
Francesco Muzzioli, Via Maestra
(Hobos, Brindisi, 2011) a cura di Clara Nubile e Michele Bombacigno, etc.
Hanno scritto di lei Giovanni Amodio,
Lino Angiuli, Davide Argnani, Carlo Alberto Augieri, Giorgio Bàrberi Squarotti,
Mariella Bettarini, Luigi Bonaffini, Lia Bronzi, Marcello Carlino, Luigi
Carotenuto, Ettore Catalano, Giorgio Celli, Antonino Contiliano, Andrea
Cortellessa, Gualtiero De Santi, Carmen De Stasio, Donato Di Stasi, Kristina
Donnicola, Vittoriano Esposito, Franco Ferrarotti, Anna Maria Giancarli, Maria
Lenti, Eugenio Lucrezi, Mario Lunetta, Loredana Magazzeni, Giuliano Manacorda,
Massimiliano Manganelli, Francesco Muzzioli, Raffaele Nigro, Giuseppe Panella,
Daniele Maria Pegorari, Cetta Petrollo, Vito Riviello, Paolo Ruffilli, Edoardo
Sanguineti, Valeria Serofilli, Mirella Serri, Antonio Spagnuolo, Adriano
Spatola, Maria Luisa Spaziani, Marcello Strazzeri, Donato Valli, Ciro Vitiello,
Andrea Zanzotto e numerosi altri.
Numerosi i premi vinti: è risultata
finalista al Premio L’Aquila – CarispAq nel 2006 con Superrealisticallegoricamente. Con la medesima opera si è
aggiudicata nel 2009 il Premio Astrolabio di Pisa.
Il geniale poeta visivo e critico
Adriano Spatola (1941-1988) per l’impronunciabile Amsirutuf: enimma (1988) di Nadia Cavalera, lavoro con compresenza
di brevi versi e tavole grafiche con motivi geometrici, aveva scritto nella sua
introduzione: “Sono quattro gli elementi che compongono la struttura delle
pagine di N.C.: il segno, il rigo musicale, la scrittura e la scrittura
rovesciata […] quest’ultima vuole […] offrire un’immagine alternativa del
testo”[1].
Spatola nel suo breve scritto chiamava
in causa termini importanti con i quali oggi è possibile avvicinarsi alla
produzione della Cavalera – celebre poetessa e performer nata a Galatone (LE)
nel 1940 e da molti anni residente a Modena – e tentarne una definizione: mi riferisco
a “strumentalismo”, “visualità” e “impianto grafico”. Espressioni che ben
rimarcano il concetto di multidisciplinarietà delle arti esperite mediante
codici apparentemente distanti, quello grafico-testuale e quello
visivo-strutturale. Ben comprendiamo da questi semplici tratti come l’opera
della Cavalera nasca, si stagli e si definisca, come profondamente
avanguardistica e in continuo fermento creativo-sperimentale.
L’idea che la
Nostra ha del concetto di avanguardia ha poco a che vedere con l’utilizzo che
di “avanguardia” (nelle forme di “Seconde Avanguardie” o “Nuove Avanguardie”
della seconda metà del Secolo scorso) ha campeggiato nelle dissertazioni
critiche, ufficiali o meno, accademiche o rionali che sono stato
abbondantemente fatte, spesso giungendo a tortuosità di poco convincimento o
veri cul-de-sac. Per la Cavalera
l’avanguardia è tale “[se] rinunci[a] a ridicole forme elitarie inconcludenti,
a qualsiasi forma di divismo e discriminazione, [se] abbandon[a] gli inutili
giochi di società di inclusione/esclusione e fa[…] proselitismo. […] [Se] si
espand[e] e divent[a] finalmente massa. Per superare le miserie del presente”.
Avvicinandoci a
una sua opera di qualche anno fa, Spoesie
2006-2009, in cui nel curioso prefisso “s-” è da intendere, forse, un
velame ironico, senz’altro di rivisitazione del termine, semmai una sua
parabola di sviluppo, Mirella Serri nella nota introduttiva così scriveva:
“militando negli anni universitari contro la corruzione e il malaffare dello
scudo crociato, i suoi strumenti di lotta non erano solo i cortei, le
occupazioni, gli scioperi e i comizi, ma anche la parola poetica”[2].
Questa citazione ci consente di aggiungere un dato al profilo umano – e poi
culturale della Cavalera – che è rappresentato dalla sua anima battagliera che
l’ha portata quale attivista coscienziosa a battersi per cause e motivi di
ordine socio-civile. In poesia, questo aspetto di antagonismo e denuncia, si
può ritrovare tanto nei contenuti profondamente intrisi di temi e ispirazioni
civili, ma anche nella forma ribelle – nel senso di non canonica – adoperata.
Si parla, pertanto, come già Spatola anticipò, di opere verbo-visive un po’
alla maniera della poesia visiva di Corrado Govoni o quella più nota dei Calligrammi di Apollinaire.
La “provocazione avanguardistica” di
Cavalera, come saggiamente la definisce Serri, ha lo scopo di progredire verso
un oltre non del tutto identificato e dicibile – come nelle più avvincenti
avanguardie del Secolo scorso, si pensi solo allo spagnolo ultraismo – che è
raggiunto perché nelle intenzioni “La poesia della Cavalera vuole sondare tutte
le possibilità semantico-formali, trovare le corrispondenze, le aporie,
imbarcarci su percorsi molto individuali attraverso la provocazione
avanguardistica”[3].
Rientra in
questo percorso febbrilmente creativo anche la creazione di eteronimi o, per
dir meglio, di noms-de-plume a
partire dalla statunitense Marie Donna Lancaster che figura quale autrice (è la
nostra sotto bonarie mentite spoglie) di Americanata
(1992) e l’introvabile (a ragione: non esiste) poetessa latina Annia Aurelia
Galeria Lumilla Augusta, proposta quale autrice di Ecce Femina (1994). Tale attitudine mistificatrice volutamente
allegorica della Cavalera è senz’altro portata all’estremo nella pubblicazione Liber Ex Libris (2022) dove, ponendosi
stavolta nella posizione di curatrice del volume antologico, non è altro che la
presentazione di se stessa in ben centotrentatré autrici diverse, con tanto di
nome e alcune brevi note biografiche per contestualizzarle. Un’operazione
ardimentosa e curiosa in cui, ancora una volta, la poetessa salentina è unica deus ex machina e regista indiscussa
della formidabile operazione che ha qualcosa della tecnica del collage ma anche
del teatro dell’assurdo.
A spiegare
meglio tale operazione sono alcune note critiche presenti nel volume che ci
vengono in soccorso e appaiono utilissime per facilitare una pur recondita
comprensione al lettore: “Gli autori inventati sono dunque frutto della
pluralità dell’io, sono parti di sé, ma sono anche una proiezione in altre vite
possibili. La loro entrata in scena comporta pure da un lato qualche
riferimento mascherato ad autrici/autori reali, ma il camuffamento prende la
mano e parte per la tangente dell’allegra incursione, soprattutto nella
nominazione scatenata”[4].
Uno dei concetti
imprescindibili per lo studio dell’opera della Nostra risulta essere quello di superrealismo allegorico – da lei stessa
forgiato e approfondito per mezzo di una sorta di saggio teorico o manifesto –
uscito sulla rivista «Bollettario», una delle sue più felici e fortunate
creazioni. Nel volume Superrealisticallegoricamente
(2005) lo studioso Donato Di Stasi aveva ben evidenziato alcuni dei caratteri
prominenti di questa nuova avanguardia, uno meramente formale: “l’idea di un
linguaggio che si deforma nel suo farsi duttile camaleonte”[5] e
l’altro contenutistico-sociologico: “il grido di protesta contro le
malversazioni della storia”[6].
Francesco
Muzzioli, che molto ha scritto sull’opera della Cavalera, ha parlato di
“oltranza allitterativa” e di “ripetizione fonica” a contraddistinguere i versi
dei suoi scritti, elementi che porterebbero a un accumulo di dato
empirico-uditivo che ha espresso nei termini di “ipertrofia della tessitura
sonora”. A infatuare tale atteggiamento sono le continue consonanze di termini
disposti in forma contigua e l’uso dell’omoteleuto, una figura retorica
(frequente causa di errori nell’atto delle copie di testi nell’antichità) che
si presenta quando due o più parole contermini hanno una desinenza identica o molto
simile. La destrutturazione del linguaggio canonico – che a sua volta è una
manipolazione dai toni anche giocosi – ha come risultato l’abbattimento di
forme di pausa o di adeguamento dei tempi che la punteggiatura canonica
potrebbe fornire. Ciò è teso al recupero e alla resa fedele di quella liquidità
inarginabile della lingua e dunque di un verso che, oltre che sciolto e libero,
ha esigenza tanto di libertà fisica – di disposizione grafica sulla pagina –
quanto cinetica – di reale movimento.
La Cavalera ha
giocato (e gioca) non solo con le forme e gli stili ma anche con i codici
linguistici. È una realtà oggettiva – lo dimostra la sua bibliografia – che ha
gettato lo sguardo anche verso altre lingue che spesso fanno capolino con
parole singole o brevi espressioni all’interno del tessuto lirico nella lingua
natale. Ci sono poi opere completamente in altre lingue, è il caso di Americanata (1992) in inglese ed Ecce Femina
(1994) in latino. Senza disdegnare il suo dialetto oriundo, il galateo, con il
quale ha vergato i brevi componimenti in forma limerick di Salentudine (2004), una sorta di Spoon river nostrana tutta leccese.
Cavalera si è
esposta con fermezza e convinzione sulla questione femminile ponendosi come
(sue stesse parole) una feminista ante
litteram e sui generis – accentuando un aspetto non di poco conto che ha a
che vedere con il concetto di “umafeminità” (suo neologismo) ampiamente esposto
in un saggio del 2014 che compare come contributo introduttivo all’antologia
omonima alla quale presero parte voci poetiche di primissimo livello. La
Cavalera parla dell’esigenza di abbattere la tendenza ormai diffusa come norma
del raddoppio della “emme”, per lei dispregiativo e motivo a sua volta di tanta
violenza. Dunque femina e non femmina. Da qui parte la sua filosofia
particolarissima che vedrebbe (e auspicherebbe) l’abbattimento generalizzato
del termine umanità (a suo dire
restrittivo e motivo, a sua volta, di emarginazione) a favore di quello di umafeminità. In questo suo versatile
scritto troviamo un esergo infuocato dove la Poetessa annota: “Mi dissocio /
[…] / Non nel mio nome i morti delle tante guerre volute e gestite dagli uomini
/ […]/ Mi dissocio dall’UMANITÀ e rilancio la nascita di un nuovo nome / da cui
ripartire per la costruzione di un’era nuova / ripartiamo con l’UMAFEMINITÀ”.
Questo
esperimento linguistico-contenutistico, che è un potente J’Accuse, ben evidenzia la natura di poetessa civile della
Cavalera, con una sua speciale e forte visione critica radicata nella
convinzione che la poesia non sia la mera descrizione di una scena edificante
quanto azione concreta. Importante è la caratura etico-civile di tanti versi
della Cavalera che a volte sconfinano in significati o allusioni che possiamo
ben definire politici per la nettezza e la distinzione dei riferimenti o gli
indirizzi verso cui muove.
Simile
atteggiamento di protesta e denuncia, di un atto ribelle che non si esaurisce
con il suo compimento ma che è latore di un’ideologia e di principi da
difendere strenuamente, può essere riscontrato (diversa la tematica, medesimo
il sentimento solidaristico e civile) nella più recente operazione antologica Chiamata contro le armi 4. Sessanta poet*
reclamano la pace (2022) in cui, come comunemente ha più volte fatto, ha
rimediato alla differenza sintattica di genere che nel nostro Paese spesso ha
visto ostilità quando non il parto di brutture, con l’uso dell’asterisco a fine
vocabolo, quale segno agglutinante di esemplari tanto maschili quanto
femminili.
L’organizzazione
di questo Premio ha inteso premiare con il Premio Speciale “Alla Carriera” la
poetessa, scrittrice, performer e saggista (importante è anche la sua raccolta
di interventi critici, Corso Canalchiaro
26 pubblicato nel 2010) Nadia Cavalera, fondatrice e direttrice
dell’importante rivista «Bollettario» e del pregiato Premio Letterario
“Alessandro Tassoni” in Modena, per la sua ampia carriera e la vastità delle
sue pubblicazioni, per l’impegno autentico e protervo verso la difesa di
battaglie d’ordine civile.
(Motivazione critica stilata da LORENZO SPURIO, Presidente
del Premio)
Nota:
I presenti testi corrispondo a quelli pubblicati nell’opera
antologica del Premio. E’ vietata la riproduzione in forma integrale e/o di
stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’autore.
[1] Adriano
Spatola, Introduzione a Nadia
Cavalera, Amsirutuf: enimma,
tam tam, Sant’Ilario d’Enza, 1988.
[2] Mirella
Serri, Introduzione a Nadia
Cavalera, Spoesie 2006-2009,
Fermenti, Roma, 2010, p. 7.
[3] Ivi,
p. 9.
[4] Nadia
Cavalera, Da Liber Ex Libris,
Milella, Lecce, 2022, p. XIII.
[5] Donato
Di Stasi, Introduzione a Nadia
Cavalera, Superrealisticallegoricamente,
Fermenti, Roma, 2005, p. 6.
[6] Ivi,
p. 8.
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